Ore 4:38 del mattino.
38esima settimana di gravidanza.
Al termine di una lunghissima giornata di trasloco e mille altri impegni mi ritrovo qui, in cucina, su di uno sgabello della mia isola con una tazza di camomilla fumante e tanta disperazione a farmi compagnia in vista della noia che inevitabilmente le ore notturne portano con sé.
Dunque tra acidità, mal di schiena, disturbi del sonno e asini che ragliano dallo zoo tecnico proprio di fronte a me, dormire è decisamente fuori discussione così come lo è restare svegli a fissare il vuoto per circa cinque ore.
Che fare?
Comincio a vagabondare in giro per casa, brancolando nella penombra delle stanze alla ricerca di qualcosa da fare.
Quando prendo in seria considerazione l’idea di mettermi a pulire i bagni, mi rendo conto di essere arrivata alla frutta.
Così, quasi in automatico, nel mio stato di dormiveglia giungo dinanzi alla libreria del soggiorno. Guardo lo scaffale dove ho disposto i libri che mi guardano in cagnesco in attesa di essere letti. Ultimamente ho ricevuto qualche cantonata quindi pondero bene la mia scelta.
Ho bisogno di qualcosa di leggero, scorrevole, che non mi appesantisca le palpebre ma le chiuda dolcemente. Necessito di qualcosa che sia stimolante, intelligente e piacevole. Sorpasso rapidamente Dumas, Mitchell, Tolkien, per via dell’imponente mole di pagine.
Una notte credo non basterebbe.
Glisso anche “le ceneri di Angela” troppo malinconico, e “leggere Lolita a Teheran” un po impegnato e impegnativo come compagnia notturna.
All’improvviso, Eureka!
Ennesimo mio affarone ad un solo euro al mercatino della domenica, scommetto su di lui senza pensarci due volte.
Il saggio è breve, ben scritto, provocatorio quel tanto che basta per non diventare cinico, leggero ma per nulla banale.
Per la mia avventura di una notte non avrei potuto chiedere di meglio insomma!
Non solo mi ha tenuta sveglia ma mi ha anche molto emozionata e dato qualche spunto su cui riflettere, il che è sempre un buon segno.
Il libro è diviso in due parti che però risultano essere ben collegate e fluide. Non viene narrata nessuna storia in particolare, nel senso più comune del termine. Mi ha dato più l’impressione di una bella chiacchierata, condita di qualche consiglio e qualche rimbrotto qui e lì.
Nella prima parte, in particolare, ho seriamente pensato che il libro mi avesse chiamata dallo scaffale per essere scelto e non viceversa, tanta è stata la mia empatia con quelle righe che mi sono arrivate dritte al cuore.
Segue il percorso di un piccolo lettore/ non lettore dalla sua infanzia all’adolescenza, guardando il tutto dalla prospettiva di un genitore ma ponendosi in maniera del tutto imparziale.
Tra poco sarò mamma e in effetti la prima cosa che ho comprato per il mio Flavio è stato proprio un libro che per me ha significato tanto e che spero di leggergli quanto prima.
Quindi mentre Daniel Pennac analizzava il comportamento di questi genitori un po’ pesantucci nel voler “obbligare” i figli alla passione per la lettura, io mi sentivo già un po colpevole.
Nella seconda parte stila un decalogo del lettore dove elenca tutti i suoi diritti, spiegandone la ragione punto per punto.
- IL DIRITTO DI NON LEGGERE
- IL DIRITTO DI SALTARE LE PAGINE
- IL DIRITTO DI NON FINIRE IL LIBRO
- IL DIRITTO DI RILEGGERE
- IL DIRITTO DI LEGGERE QUALSIASI COSA
- IL DIRITTO DEL BOVARISMO
- IL DIRITTO DI LEGGERE OVUNQUE
- IL DIRITTO DI SPIZZICARE
- IL DIRITTO DI LEGGERE A VOCE ALTA
- IL DIRITTO DI TACERE
Devo dire che mi sono sentita persino rincuorata nel leggere alcuni di questi “diritti”, come se dicessi tra me e me” Beh se lo dice Pennac!”
Invito chiunque abbia voglia di rilassarsi in maniera intelligente, senza leggere per forza “le barzellette di Totti” a dedicarsi cinque minuti a quest’autore e a quei cinque minuti di lettura che, come dice il mio nuovo amico Daniel, “Dilatano come il tempo dell’amore, il tempo della vita”.